mercoledì 8 giugno 2022

Del Primo Progetto sul DOPPIO COGNOME ai Figli nella Repubblica Italiana

Palermo, 1979 - Ma che strano! C’è una donna che pensa…

di Iole Natoli

 AVVERTENZA

Come ho precisato nel riportare su questo blog il mio articolo del giugno 1979 “La soppressione della donna nella struttura familiare”, per diverso tempo ho resistito all’ipotesi di mettere on line i miei vecchi articoli a stampa sul Cognome materno, perché il trascorrere degli anni me ne aveva reso evidenti alcuni limiti.

Oggi, però, mi accade il contrario. Scopro infatti che ha un senso specifico riportare due scritti del giugno di quello stesso anno, perché per un pregiudizio diffuso si è spesso considerata più importante la mia causa civile per il cognome materno, la prima in Italia, rispetto al mio progetto (il primo sul doppio cognome nell’Italia repubblicana) che invece l’ha generata

 




E invece è proprio il progetto che mi ha indotta, malgrado la conclusione negativa della causa, a non interrompere in tutti questi anni il mio lavoro sul tema, con un'assidua ricerca di contatti e con una nutrita messe di testi affiancati da Lettere aperte e Petizioni, l'ultima delle quali è stata inviata al Senato giorni fa.

Ma cosa si cela dietro quegli atteggiamenti insistentemente riduttivi, da che cosa derivano? Di recente Iole Granato, un’iscritta ai gruppi FB sul Cognome da me gestiti, così si è espressa in uno di essi: «I cambiamenti non scendono dal cielo, i cambiamenti si immaginano, si cercano, si reclamano e, a volte, si ottengono». SI IMMAGINANO. Ed è questa incapacità di immaginare in proprio il cambiamento e di riconoscere tale intenzione in altre o altri che spiega la smania persistente di alcune persone di voler misconoscere un progetto, limitando l’azione da me intrapresa alla causa e iscrivendola nel semplice interesse “domestico” di voler attribuire il mio cognome alle mie figlie. Cosa che peraltro contrasta con l’esito di quella causa, dato che fu scritto in sentenza che si rigettava la richiesta in quanto agita NON nell’interesse delle figlie ma mio, chedenunciavo una discriminazione nei confronti delle DONNE (valutata come "inesistente", contrariamente a quanto ha stabilito con estrema chiarezza la sentenza della Corte costituzionale 131/2022 in occasione di una causa attivata da altri).

Stabiliamo allora le priorità cronologiche. La causa civile è del 1980, il mio progetto, a cui già pensavo da qualche anno, è del 1979, come dimostra non solo l’articolo sopra citato, ma anche i due scritti che qui pubblico per la prima volta.

PREMESSA

Palermo, 5 giugno 1979.
Ci sono appena state le elezioni e nella sede del Partito radicale si raccolgono e commentano i dati in arrivo. Un piccolo gruppo di donne di cui faccio parte però parla d'altro. Una ragazza a me sconosciuta si aggira nei dintorni e sembra interessata alla nostra conversazione. Quando compro poche ore dopo l'edizione straordinaria del Giornale di Sicilia, ho la sorpresa di ritrovarmi lì, anche se manca il mio nome ma non il riferimento al MIO progetto. In compenso, c'è la melassa dei più triti presupposti maschilisti, non so se di produzione diretta del giornalista che ha redatto l'articolo o della ragazza che andava in avanscoperta nella sede.
Mando alla redazione del giornale la mia replica, che però non viene pubblicata. Di conseguenza mi rivolgo al quotidiano L'Ora, che accetta di darmi lo spazio che mi spetta.

TRASCRIZIONE DAI DUE GIORNALI visibili in calce

1979.06.05_PR Si  discute con passione del cognome di mammà

«La sede del partito radicale è al numero 17 di vicolo Castelnuovo, a pochi metri da piazza Bologni addentrandosi per le stradine che portano a Ballarò- Si entra da una porticina stretta. Al piano terra una stanza non grande piena di materiale di propaganda: si sale da una scala di legno e in soffitta c’è il centro di raccolta dei dati elettorali da Palermo: sei persone». (…) «Sedute attorno al tavolino del telefono ci sono quattro ragazze che parlano d’altro. Una racconta che da tre anni studia ad un disegno di legge che vorrebbe dar la possibilità alle donne di essere chiamate col cognome della madre anziché con quello del padre. Lei, spiega, è separata dal marito ed ha due figlie che l’adorano mentre non sono in buoni rapporti col padre eppure debbono chiamarsi col cognome». (…) «…e le altre quattro ragazze continuano a discutere della proposta di legge sulla trasmissione del cognome materno alle figlie».

1979.06.22_ Se donna e pure radicale è «infelice»

Pubblicare lettere di commenti o rettifiche a quanto hanno scritto altri quotidiani e a loro indirizzate non è nostro costume. Se lo facciamo è perché l’autrice della lettera ha chiesto a noi di riparare ad una «ingiustizia» subita. Quella di vedersi rifiutato il diritto alla parola.

RITENGO necessario, quale femminista radicale, precisare alcune cose intorno a un articolo apparso nell’edizione  di martedì 5, con il gustoso titolo «Si  discute con passione del cognome di mammà». E sono considerazioni, tutto sommato, abbastanza divertite per l’idea di base, da letteratura d’altri tempi, che mi è dato scorgere nelle parole del cronista di turno. È vero infatti che esiste un progetto in questo senso e che esso è il risultato di uno studio analitico condotto da una di noi sul tema «donna e struttura familiare». Ciò che invece è frutto delle proiezioni fantasmatiche dell’autore del «pezzo» è l’aureola di infelicità familiare della quale ha ritenuto necessario rivestire la ragazza in questione, la quale peraltro non   aveva minimamente fatto dichiarazioni in tal senso, né nutriva alcuna intenzione di farne, sia pure per la felicità di qualche cronista dalla fantasia facilmente sollecitabile.

Ma tant’è, il problema di fondo è sempre lo stesso. C’è una donna che vuol fare qualcosa di specificamente politico e che vuole affrontare seriamente un progetto di riforma sociale? Eh, ma è una donna! E quindi, se lo fa lo farà sempre per qualcun altro, mai per se stessa; in questo caso lo farà per i figli, anzi per le figlie, dato che si è riusciti a sapere che ne ha due e di sesso femminile. E ovviamente queste figlie dovranno essere molto, molto infelici (guai se non lo fossero, andremmo decisamente fuori tema, quasi fuori dell’ordinario) affinché la donna-madre sia una «madre» così come il maschilismo ha da sempre voluto pensarla e non, semplicemente, una donna che si occupa, sia pure con passione, del «problema donna». 
Jole Natoli del Partito Radicale

Quotidiano Il Giornale di Sicilia – Edizione straordinaria – 5.06.1979

REPLICA allo scritto riprodotto sopra – Quotidiano L’Ora – 22.06.1979

NOTE: 
1 - il mio nome è sempre stato Iole e non Jole (dall’Università di Palermo fui “richiamata” perché a quell’epoca usavo firmarmi con la “J” e non con la “I” come da certificato di nascita e da allora non ho più commesso questo peccato anagrafico), ma non tutti i giornalisti o caporedattori lo sanno…

2 – il mio progetto sul doppio cognome è il primo nell’Italia repubblicana non in quella monarchica, anche se del progetto del deputato Salvatore Morelli abbiamo solo il titolo. Non esiste infatti presso l’archivio del Senato una qualsiasi traccia che indichi se il deputato pugliese avesse previsto o meno un sistema con regole di attribuzione dei cognomi, per evitarne la moltiplicazione o per determinare l’ordine di essi.

 

 

 

domenica 15 febbraio 2015

LA LUNGA STRADA DEL COGNOME MATERNO parte terza - Lotta per il Cognome e CONVIVENZE


UNA PASSIONE CHE SI CHIAMA DONNA
o, se volete, senso di dignità personale, rapporto consapevole di coppia e capacità reciproca di amare
di Iole Natoli
Da quando il Tribunale di Strasburgo ha condannato l’Italia, imponendole di provvedere al più presto (un “presto” letto come un “con comodo” dal nostro non solerte Parlamento) a varare una legge non discriminatoria sul cognome dei figli, abbiamo ripreso a riferirci unicamente alle situazioni matrimoniali, perché nel matrimonio si iscrive il ricorso di Alessandra Cusan e Luigi Fazzo, che hanno ottenuto la storica sentenza (->∆).
È alla loro tenacia che dobbiamo la discussione e l’approvazione alla Camera del DDL 360, divenuto dopo accorpamenti e modifiche DDL 1628 a seguito del suo approdo in Senato, ed è grazie alla loro fermezza e abilità - la causa è stata condotta da Luigi Fazzo in prima persona - che otterremo finalmente una legge, perché senza l’intimazione di Strasburgo il Parlamento non avrebbe mai fatto nulla.
Nel matrimonio era anche la prima causa italiana, che abortì nel 1982 (->∆). Nel matrimonio altre cause, finite come la mia con un rifiuto.

sabato 15 febbraio 2014

LA LUNGA STRADA DEL COGNOME MATERNO IN ITALIA parte 2ª / Il Passato, il Presente, il Futuro


Facciamo il punto della situazione attuale
di Iole Natoli


È confortante che la sentenza della Corte Europea, nata dalla tenacia di Alessandra Cusan e Luigi Fazzo poco disposti ad accontentarsi del “NO” pronunciato infelicemente dalla Consulta, stia producendo delle prese di posizione sul tema.
Per carità, di cognome materno si parla anche a livello parlamentare da anni ma senza che neanche una volta si sia superata la soglia delle commissioni attinenti, per far giungere in discussione alle Camere un progetto. 

lunedì 27 gennaio 2014

IL COGNOME DELLA MADRE / Una Lettera a noidonne del giugno 1996



Figli e figlie nati di donna
Ma quanto è duro a morire il patriarcato…
di Iole Natoli

Nel giugno del 1996 usciva sulla storica rivista noidonne - con qualche piccolo taglio irrilevante, dovuto a questioni di spazio - un mio scritto indirizzato a Roberta Tatafiore, che curava la rubrica delle Lettere. Titolo, Figli e figlie nati di donna, ovvero il cognome della madre.
Rilevo en passant che il cognome della madre, anzi Nel cognome della madrerappresenta una sorta di sigla che attraversa l’intera lotta per il cognome, non solo per il suo significato ma per il ricorrere della formula linguistica.
Questo lungo filo di Arianna parte infatti da un titolo abbastanza antico, quello con cui sul quotidiano cartaceo La Stampa si annunciava e commentava il primo ricorso in Italia contro lo Stato (il mio del 1980), continua con il nome dato da Equality Italia alla sua campagna di sostegno al progetto Garavini, lanciata nel 1913, e proseguirà sicuramente altrove (se già non è riapparso a mia insaputa) finché non sarà stato risolto il problema. D’altronde “nel cognome del padre” ci siamo già, anzi ci siamo sempre stati, sempre e solo in quello, neanche fosse il primo comandamento della Bibbia “Io sono il Signore Dio tuo, non avrai altro Dio all’infuori di me”…

mercoledì 17 luglio 2013

LA LUNGA STRADA DEL COGNOME MATERNO IN ITALIA / Parte prima

LA DIFFUSIONE DEL PROGETTO SUL DOPPIO COGNOME
I primi eventi

di Iole Natoli

 

Nella seconda metà dell'800 il deputato pugliese Salvatore Morelli [1] aveva presentato, senza successo, una proposta di riforma del cognome dei coniugi e, conseguentemente, dei figli.
Sembra però assodato che nel secolo XX il punto di partenza dell'ipotesi del doppio cognome in Italia sia stato il mio articolo del giugno 1979 [->], mentre, per il cognome unico a scelta, l'inizio è certamente da ravvisare nel progetto parlamentare dell’ottobre 1979 dell’on. Magnani Noya.


Poco noto è tuttavia il percorso di diffusione dell’idea del doppio cognome dopo il 1979, anche in rapporto alla prima causa civile per il cognome materno in Italia (la mia del 1980-82).
Già nel ’79 iniziavo a instaurare contatti per creare al mio progetto sul doppio cognome un possibile approdo in Parlamento. Il primo, tramite posta, fu col Partito Radicale, al quale proprio in quegli anni mi ero iscritta. Quando però in casa di Giuseppina Maisano, moglie di Libero Grassi allora in vita, ebbi modo di conoscere di persona

nel corso di una riunione Adele Faccio, appresi che il partito, assorbito dalla campagna contro la fame nel mondo, non aveva reputato abbastanza degno di attenzione il tema che io avevo proposto.

Fu un brutto colpo e tuttavia non mi arresi. Dopo qualche tempo, a causa di una iniziativa mia e di Pina Maisano Grassi,  con cui ero rimasta in rapporti di amicizia pur avendo già abbandonato il partito [1], presi contatto con esponenti della sinistra dell’Assemblea regionale siciliana in relazione all’installazione dei missili a Comiso [2].



Incontratami nel gruppo parlamentare comunista con Simona Mafai, le accennai del mio progetto sul cognome materno. Mi disse di parlarne con Angela Bottari, cosa che feci. A quanto mi fu dato poi di scoprire,  i temi giudicati più pressanti dai vari partiti non lasciavano già allora spazio alcuno per avviare riforme sul cognome. La deputata comunista si mostrò fortemente interessata, promise che se ne sarebbe occupata, ma la legge contro la violenza sessuale la impegnava in quel momento a tal punto da indurla a rinviare il mio progetto a un momento successivo…




che poi non venne perché, come Angela ebbe a dirmi molti anni dopo, “tutte le riforme che incidono su rapporti di potere consolidati si bloccano”.

Quello non fu tuttavia che il secondo contatto diretto. 
Altri ne ebbi, benché solo tramite posta, con Carla Ravaioli e con Elena Marinucci per conto di Margherita Boniver, all’epoca deputata socialista. In quella stessa quella legislatura (VIII) era stata però presentata dalla socialista Maria Magnani Noya, nell’ottobre del 1979, la proposta sul cognome unico a scelta.




Pur dichiarandosi interessata al mio progetto, cui attribuiva una portata “rivoluzionaria”, Marinucci non poteva così che comunicarmi l’impossibilità per il partito di presentare due progetti diversi. La sua riserva su una certa “macchinosità” ravvisata nella mia soluzione si spiega con le considerazioni che seguono.

I riferimenti dei nostri parlamentari erano all’epoca più centro-europei [3] che marcatamente mediterranei, almeno in questo settore. L’esempio spagnolo, d’altronde, non appariva molto promettente, dato che quella stessa semplificazione dei cognomi che era stata da me indicata nel ’79 fu adottata in Spagna solo molti anni dopo. Peraltro, benché nel mio progetto la limitazione di un cognome per genitore fosse espressa con molta chiarezza, l’ordine dei cognomi determinato dal sesso, presente nelle prime stesure [4], lo rendeva forse scarsamente appetibile.

(Continua con la seconda parte)

 

Milano, 17 Luglio 2013

© Iole Natoli

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Note:
[1] Come risulta da alcuni scritti on line, nel secolo XIX qualcuno avrebbe già avanzato l’ipotesi del doppio cognome, non mi è chiaro fin qui se in qualche scritto o in un progetto di legge. Mi riprometto quindi di documentarmi il più possibile sull’attività di Salvatore Morelli (1824 – 1880), deputato della Camera Regia, per conoscere anche le modalità con le quali si sarebbe dovuta attuare la riforma.

[2] La mia disiscrizione dal partito non fu causata dal disinteresse registrato nei confronti del cognome materno, benché non lo avessi certo accettato di buon grado, ma dallo sterile ostruzionismo parlamentare, da me non condiviso, ai tempi dell’approvazione della legge Reale.

[3] Denuncia contro Spadolini all’Inquirente (L’Ora, 23 Settembre 1981).

[4] Germania dell’Est e Jugoslavia.

[5] Vedi i primi quattro post di questo Blog.

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EDUCARE AL RISPETTO DI GENERE FIN DALLA NASCITA

Il diritto al doppio cognome è del figlio

PROPOSTA DI LEGGE in 10 articoli per il DOPPIO COGNOME

PARITARIO All’attenzione del Parlamento italiano         

8 Maggio 2013
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[3]

[4]

venerdì 12 luglio 2013

Evoluzione sociale, modello familiare e formazione dell’identità / IPOTESI PER UN MUTAMENTO


DIRITTO E FAMIGLIA / Il cognome dei coniugi e dei figli
di Iole Natoli



Il 6 Aprile del 2010, essendo congelata in Parlamento la discussione sulla riforma del cognome di famiglia e dei figli sia al Senato e sia alla Camera, dove aveva avuto inizio nella II Commissione Giustizia, riproponevo sul sito “kultbazar.com”, poi soppresso, un mio scritto sul tema già pubblicato in cartaceo sulla rivista “Il Confronto meridionale” nel Maggio del 1988.
Non volli modificare quanto scritto in precedenza, benché avessi espresso in un nuovo articolo dal titolo "Se la lezione freudiana è servita portiamo ora allo scoperto il rimosso", alcune riflessioni successive, preludio di una proposta più evoluta.
Il nuovo progetto è oggi una petizione on line (-->).
Quanto a questo, ho inserito alcune note di commento, come ho fatto per gli altri articoli cartacei, riportati recentemente in questo blog.


Evoluzione sociale, modello familiare e formazione dell’identità: ipotesi per un mutamento

di Iole Natoli 
(Il Confronto meridionale, Maggio 1988)

Ciascun soggetto umano dispone di una capacità d’assimilazione psichica, che gli consente d’introiettare un’enorme quantità d’informazioni, molte delle quali attraverso immagini e forme simboliche.
Una metodologia educativa non si limita, di fatto, a sviluppare le energie umane, indirizzandole in questa o quella direzione, a seconda delle inclinazioni individuali; essa radica altresì nelle nuove generazioni una vasta gamma di abitudini e comportamenti, consoni ai valori ritenuti essenziali da un dato gruppo sociale.
Una società pacifista si porrà obiettivi e strategie educative differenti da quelli d’una società guerrafondaia. E tuttavia, ove in essa agiscano nascostamente uno o più fattori di condizionamento, il modello educativo che esprime sarà intrinsecamente disturbato da uno o più vizi d’origine.
Tra i fattori che s’oppongono al cambiamento, ovvero all’invenzione di nuove formule di vita, è possibile individuare alcuni elementi, comuni ancora oggi a buona parte delle società evolute, che concorrono alla conservazione di un’immagine occultamente arcaica della famiglia. Apporto economico, prestigio professionale, contributo culturale sono elementi che, se inegualmente distribuiti tra i membri d’una coppia, creano disarmonia di ruolo tra i coniugi, perché producono scompensi del loro personale prestigio, all’interno come all’esterno della famiglia.
Una disuguaglianza di tal fatta colpisce abitualmente l’elemento femminile della coppia. Le cause di tutto ciò sono molteplici e affondano le loro radici nella discriminazione più o meno palese, che ha condizionato nei secoli la vita delle donne, a partire dal momento della nascita. Considerate come soggetti umani di natura “inferiore”, le donne sono state sistematicamente emarginate, fino a tempi recenti, da quei processi di crescita culturale e produttiva, che solo avrebbero potuto consentir loro il raggiungimento e l’esercizio d’una posizione paritaria nella vita sociale. Eccezion fatta, s’intende, per quei pochi casi che, proprio perché numericamente limitati, non possono aver rilevanza in termini di distribuzione del fenomeno.
Tra i fattori che producono discriminazione tra uomo e donna, determinando un modello familiare non paritario, è possibile individuarne uno che da quelli ora considerati si diversifica, perché, pur essendo presente in maniera uniforme, almeno sino a qualche tempo fa, in ciascun nucleo familiare della maggior parte delle nazioni, ha la caratteristica d’essere indipendente dalla volontà dei singoli soggetti e pertanto non suscettibile di modifica a livello individuale.
Ci si riferisce alla modalità d’assunzione del cognome, predeterminata nella maggior parte dei Paesi da leggi esplicite o da tradizioni secolari. In virtù di essa, quel segno distintivo della personalità individuale che è il cognome, come parte integrante del nome, viene a coincidere con quello d’uno solo dei genitori e cioè, nella quasi totalità dei casi, con il cognome del padre. Rarissime sono le eccezioni a questa regola, se si escludono i casi in cui l’assunzione del cognome materno, essendo riservata solo alla filiazione non legittima, finisce col diventare per i figli un fatto di difficile gestione, perché denunciante una situazione socialmente percepita come anomala e pertanto vissuta come particolarmente disagiante.
È così per il figlio e per la figlia. Entrambi vengono identificati con un solo cognome fin dai primi anni, negli ambienti scolastici, nei documenti che li riguardano, in molteplici situazioni della vita quotidiana. Sulla porta dell’abitazione in cui crescono, c’è il cognome con cui sono chiamati ed al quale abitualmente rispondono: quello del padre. Per la figlia l’assurdità di tale stato di cose è ancora più marcata: dal cognome su cui le è dato di fondare la propria identità, la donna manca.
Lo strutturarsi dell’identità infantile attraverso il solo cognome del padre costituisce così una pregiudiziale, che le strutture giuridiche dei vari paesi hanno imposto ai soggetti, viziando all’origine la possibilità di un’assimilazione nell’infanzia delle due figure genitoriali, libera da schemi preconcetti.
Detta pregiudiziale obbliga i figli di entrambi i sessi a percepire il padre come unica figura in grado di fornire certezza d’identità personale e sociale e la madre come figura elargitrice d’una sicurezza, che può essere erogata solo attraverso modalità culturalmente meno valorizzate ed apprezzate, perché legate agli aspetti più immediati dell’allevamento. Non mi sembra azzardato ritenere che ciò possa agire come fattore disturbante per lo sviluppo della personalità. È pensabile infatti che:
a) l’impossibilità di ricevere dalla madre anche il mezzo attraverso il quale strutturare la propria identità, all’interno del gruppo, inibisca nella donna il formarsi d’una capacità d’identificazione sufficientemente ampia in un esponente del suo stesso sesso; da ciò la difficoltà maggiormente avvertita dal mondo femminile nell’esprimere una propria rappresentanza, a cui non fa riscontro analoga difficoltà nel mondo maschile, che, in qualsiasi situazione di repressione e discriminazione, è sempre riuscito ad esprimere un leader;
b) il figlio, qualora si senta portato ad aderire spontaneamente al mondo dei valori materni più che a quello paterno, viva una situazione conflittuale. Poiché la madre è anche colei che non fornisce il cardine, cioè il cognome, attraverso il quale il figlio viene riconosciuto dal gruppo, egli non può ricevere da lei, su questo versante, compensazione alcuna all’insicurezza determinata dal parziale o totale rifiuto dell’identificazione con il padre. Non è da escludere che quel tipo d’aggressività maschile delinquenziale, giunta a concretizzarsi di frequente in episodi di violenza sessuale individuale o di gruppo, non abbia, tra i fattori che sono alla sua origine, anche l’estraneità della donna ai processi di formazione dell’identità maschile. Può darsi, indubbiamente, che tale intuizione sia infondata; ma se non lo fosse, sarebbe follia non cercare di rimuovere un fattore, che di formale avrebbe, in tal caso, ben poco.
Le nuove legislazioni di Norvegia, Danimarca e Svezia sembrano le più idonee, al momento, a istituire nelle rispettive società un modello familiare diverso. E tuttavia non sappiamo quali scelte nella vita reale la gente faccia, e se per caso sia diffusa per la donna l’usanza di sostituire col matrimonio al proprio il cognome dell’uomo, affinché il figlio porti automaticamente il cognome del padre; bisognerebbe indagare concretamente su questo. Né sappiamo quanto la più antica legislazione spagnola, che prevede l’acquisto dei cognomi di entrambi i genitori alla nascita, rispetti poi, nei fatti, la presenza della donna. Non essendo previsto anche un meccanismo che inibisca l’effetto moltiplicativo dei cognomi, è probabile che nella vita quotidiana ciascuno utilizzi il primo cognome soltanto, che è sempre quello del padre (in prima posizione, per regola generale)[1]. Sono ancora pochi gli altri Stati in cui sono state già varate delle riforme; si tratta peraltro di mutamenti parziali e facilmente eludibili[2].
Un disegno di legge sul cognome della famiglia, presentato anni addietro alla Camera dall’on. Maria Magnani Noja e mai discusso in Parlamento, è stato ripresentato in Senato dall’on. Elena Marinucci. Prevede una serie di norme, che dovrebbero consentire alla coppia di scegliere quale cognome attribuire ai figli. Si ripete ancora una volta lo schema del cognome unico, benché tale cognome non sia più necessariamente quello del padre. Ma, come ho già rilevato in un mio scritto dell’82, «in Italia non siamo più nell’era del matrimonio unico. La formula sarò tua (o tuo) per la vita è caduta parecchio in disuso dopo l’introduzione del divorzio, anche a livello formale. È da notare che, già prima di allora, la morte di una delle parti provvedeva talora a modificare quell’assetto concordato, creando alle vedove risposatesi assurde ed estranianti discordanze tra i cognomi dei figli nati da differenti matrimoni, in barba al conclamato principio dell’unità familiare»[3]. Con il divorzio, la frequenza di tali situazioni è aumentata.
All’inizio di questa legislatura, un altro progetto è stato presentato alla Camera da alcuni deputati comunisti e della Sinistra indipendente: prevede il possibile uso di due cognomi.
Una richiesta in questo senso, la prima in Italia, era stata avanzata da me personalmente nell’80, al Tribunale Civile di Palermo, affinché giungesse alla Corte Costituzionale. Il Tribunale respinse l’istanza[4]. Da allora molta strada s’è fatta; richieste analoghe sono state avanzate in altre parti d’Italia. La Corte Costituzionale ha di recente sostenuto che spetta al Parlamento legiferare in materia.
Da fautrice del doppio cognome, quale sempre sono stata, ripropongo alcuni fattibili ed aggiornati articoli d’un mio antico progetto:
Art. 1 (Struttura del nome). Nel nome si comprendono un prenome e due cognomi.
Art. 2 (Cognomi della famiglia). All’atto del matrimonio ciascuno dei coniugi indica con apposita dichiarazione all’Ufficiale di stato civile:
- quale dei suoi cognomi rende disponibile per la famiglia;
- l’ordine nel quale preferisce che tale cognome sia assunto dal figlio.
Il cognome indicato ai sensi del comma precedente deve necessariamente coincidere con il cognome già reso disponibile in occasione di precedente matrimonio, del quale siano cessati gli effetti civili o che sia stato dichiarato nullo, o che sia stato assunto da un figlio naturale riconosciuto.
Art. 3 (Cognomi dei coniugi). Ciascuno dei coniugi mantiene entrambi i propri cognomi, ove non dichiari di volersi avvalere della facoltà di cui al comma seguente.
Ciascuno dei coniugi ha facoltà di mantenere solo il cognome che ha dichiarato disponibile per la famiglia e di aggiungere ad esso il cognome dell’altro coniuge che questi ha reso disponibile per la famiglia. Del cognome sostituito non viene più fatta menzione, salvo nei casi previsti dall’art. 5[5].
La facoltà di cui al comma precedente può essere esercitata da entrambi i coniugi o da uno solo di essi; ove non sia stata esercitata all’atto del matrimonio, può essere esercitata all’atto della nascita del primo figlio.
Art. 4 (Cognomi del figlio legittimo). Il figlio legittimo assume i cognomi indicati da entrambi i   genitori, per applicazione dell’art. 2.
L’ordine dei due cognomi è conforme alle preferenze espresse dai genitori, ove queste non siano tra loro incompatibili; in caso contrario il figlio assume come primo cognome quello del genitore dello stesso sesso. La struttura dei cognomi stabilita è mantenuta per tutti i successivi figli della coppia[6].
Art. 5 (Cognome del coniuge separato). Ciascuno dei coniugi può rinunciare a far uso del cognome acquisito col matrimonio, qualora vi sia procedura per separazione in corso o sia intervenuta sentenza; in tal caso al cognome mantenuto viene aggiunto il secondo cognome d’origine, precedentemente sostituito[7].
Art. 6  (Codice personale) L’ufficiale di stato civile attribuisce al bambino il codice che gli è proprio, secondo le stesse modalità previste per il codice fiscale.
Il codice assegnato alla nascita costituisce il codice personale del cittadino, lo accompagna lungo tutta l’esistenza e non subisce mutamenti che per rettifica conseguente ad erronea attribuzione.
Il codice personale va riportato sulla carta d’identità ed in ogni altro documento che serva all’identificazione personale. Di esso si fa menzione in ogni atto pubblico relativo al cittadino che ne è titolare[8].
È sufficiente aggiungere ancora alcune norme, compatibili con lo schema indicato, per avere un progetto in grado di fondare una struttura paritaria della famiglia, rimuovendo al tempo stesso ogni tratto discriminante, che rende attualmente disagevole per il figlio naturale l’assunzione del cognome materno.
Altri articoli si potrebbero certamente inserire nella nuova normativa, per dare al singolo la possibilità di modificare gli elementi del proprio nome (prenome e cognomi), ove essi non incontrino il suo gradimento[9].
È compito del legislatore valutare se il clima culturale e sociale del paese è maturo per una modifica di più ampio respiro, o se è preferibile, al momento, limitare ad un solo settore la riforma. In ogni caso, è tempo di cominciare, eliminando quanto meno l’arcaicità d’una situazione, che fa del cognome d’un solo genitore (quello del padre, per i figli legittimi) lo strumento mediante il quale la discriminazione giuridica uomo-donna viene istituzionalmente e subdolamente consegnata alla coscienza delle nuove generazioni.

© IoleNatoli

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Il 4 aprile del 2010 Natoli ha fondato su Facebook il gruppo ITER DEL COGNOME MATERNO IN ITALIA nei regimi di matrimonio e convivenza,
successivamente chiuso per problemi tecnici intervenuti e immediatamente riaperto, che ha oggi per titolo “IL COGNOME MATERNO IN ITALIA - Procedure prefettizie e anagrafiche".
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EDUCARE AL RISPETTO DI GENERE FIN DALLA NASCITA
Il diritto al doppio cognome è del figlio

PROPOSTA DI LEGGE in 10 articoli per il DOPPIO COGNOME PARITARIO All’attenzione del Parlamento italiano (8.05.2013)                                                 

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Note odierne all'articolo del 1988

[1] Le mie prime informazioni sulla situazione spagnola risalgono al 1980.
A quel tempo in Spagna i cognomi erano, sì, di entrambi i genitori ma con il cognome obbligatoriamente paterno al primo posto, a sottolineare la maggiore importanza del padre sulla madre e dunque dell’uomo sulla donna. Anche quando è stata varata la prima riforma che introduceva - in tempi     abbastanza recenti - la semplificazione dei cognomi (2 e non più di 2, diversamente da prima) quest’assenza di parità è rimasta immutata ancora per altro tempo, ovvero sino alla Ley 20/2011, de 21 de julio, del Registro Civil.
[2] Ved. “L'Europa del Nord e l'Italia in tema di Cognome Materno ai Figli / Nel Mirino del Consiglio d’Europa” in “Il Cognome Materno in Italia nei matrimoni e nelle convivenze” (-->).[3] Ved. “Perché al figlio il cognome del padre?” in questo blog (-->).
[4] Cognome Materno ai Figli / Prima Sentenza in Italia del Tribunale di Palermo, 1982, in “Sentenze sul Cognome Materno in Italia” (-->).
[5] Esistono Stati nei quali uno dei coniugi, indifferentemente, può decidere di assumere il cognome dell’altro, cosicché questo diventa automaticamente il cognome dei figli. Rispetto a quanto avevo previsto in precedenza, c’è qui un mutamento: siamo in presenza di una “facoltà” dei coniugi e non più di un obbligo. L’idea che ciascuno possa (se non debba) restare titolare dei propri cognomi, senza che eventi occasionali - quale di fatto è un matrimonio - vadano a interferire con la sua identità, ha già cominciato a prender corpo.
[6] L’ordine è affidato ancora una volta al sesso, ma la modalità è cambiata. Non più due ordini differenti per figli maschi e femmine, ma un solo ordine stabile, determinato dalla casualità del sesso del primo nato.[7] Noie superflue, conseguenti alla possibilità di aggiungere il cognome del coniuge, che scompariranno insieme al secondo comma dell’Art. 3 nella mia proposta del 2013.
[8] Comma eliminato nella proposta del 2013.[9] L’idea di assicurare ai figli una qualche autonomia in merito ai propri cognomi si era già fatta strada nell’articolo del… e troverà uno sviluppo molto più ampio nella proposta del 2013.
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Precedenti:
_ Doppio cognome per i figli in Italia  / La soppressione della donna nella struttura familiare. Primo mio scritto sull'argomento, apparso sulla rivista “Il Foglio d’Arte”, Palermo, Giugno 1979 (-->);
_ Il 143 bis del codice civile e il DOPPIO COGNOME dei figli in Italia / “Ma è proprio obbligatorio il cognome del marito?”, quotidiano “L’ORA”, Palermo, 11 Marzo 1980 (-->);
_ “Ai Figli il Cognome della Donna  / Come si comportano negli altri Paesi”, quotidiano “L’ORA”, Palermo, 30 Dicembre 1980,  (-->):
_ “Perché al figlio il cognome del padre?”, quotidiano “L’ORA”, Palermo, 25 gennaio 1982,   (-->)
Successivi:
Vai al primo articolo on line del blog “Il COGNOME MATERNO in Italia nei matrimoni e nelle convivenze” (-->), cui si rimanda anche per tutti gli altri scritti successivi (-->).

Milano, 12 Luglio 2013

© Iole Natoli