mercoledì 8 giugno 2022

Del Primo Progetto sul DOPPIO COGNOME ai Figli nella Repubblica Italiana

Palermo, 1979 - Ma che strano! C’è una donna che pensa…

di Iole Natoli

 AVVERTENZA

Come ho precisato nel riportare su questo blog il mio articolo del giugno 1979 “La soppressione della donna nella struttura familiare”, per diverso tempo ho resistito all’ipotesi di mettere on line i miei vecchi articoli a stampa sul Cognome materno, perché il trascorrere degli anni me ne aveva reso evidenti alcuni limiti.

Oggi, però, mi accade il contrario. Scopro infatti che ha un senso specifico riportare due scritti del giugno di quello stesso anno, perché per un pregiudizio diffuso si è spesso considerata più importante la mia causa civile per il cognome materno, la prima in Italia, rispetto al mio progetto (il primo sul doppio cognome nell’Italia repubblicana) che invece l’ha generata

 




E invece è proprio il progetto che mi ha indotta, malgrado la conclusione negativa della causa, a non interrompere in tutti questi anni il mio lavoro sul tema, con un'assidua ricerca di contatti e con una nutrita messe di testi affiancati da Lettere aperte e Petizioni, l'ultima delle quali è stata inviata al Senato giorni fa.

Ma cosa si cela dietro quegli atteggiamenti insistentemente riduttivi, da che cosa derivano? Di recente Iole Granato, un’iscritta ai gruppi FB sul Cognome da me gestiti, così si è espressa in uno di essi: «I cambiamenti non scendono dal cielo, i cambiamenti si immaginano, si cercano, si reclamano e, a volte, si ottengono». SI IMMAGINANO. Ed è questa incapacità di immaginare in proprio il cambiamento e di riconoscere tale intenzione in altre o altri che spiega la smania persistente di alcune persone di voler misconoscere un progetto, limitando l’azione da me intrapresa alla causa e iscrivendola nel semplice interesse “domestico” di voler attribuire il mio cognome alle mie figlie. Cosa che peraltro contrasta con l’esito di quella causa, dato che fu scritto in sentenza che si rigettava la richiesta in quanto agita NON nell’interesse delle figlie ma mio, chedenunciavo una discriminazione nei confronti delle DONNE (valutata come "inesistente", contrariamente a quanto ha stabilito con estrema chiarezza la sentenza della Corte costituzionale 131/2022 in occasione di una causa attivata da altri).

Stabiliamo allora le priorità cronologiche. La causa civile è del 1980, il mio progetto, a cui già pensavo da qualche anno, è del 1979, come dimostra non solo l’articolo sopra citato, ma anche i due scritti che qui pubblico per la prima volta.

PREMESSA

Palermo, 5 giugno 1979.
Ci sono appena state le elezioni e nella sede del Partito radicale si raccolgono e commentano i dati in arrivo. Un piccolo gruppo di donne di cui faccio parte però parla d'altro. Una ragazza a me sconosciuta si aggira nei dintorni e sembra interessata alla nostra conversazione. Quando compro poche ore dopo l'edizione straordinaria del Giornale di Sicilia, ho la sorpresa di ritrovarmi lì, anche se manca il mio nome ma non il riferimento al MIO progetto. In compenso, c'è la melassa dei più triti presupposti maschilisti, non so se di produzione diretta del giornalista che ha redatto l'articolo o della ragazza che andava in avanscoperta nella sede.
Mando alla redazione del giornale la mia replica, che però non viene pubblicata. Di conseguenza mi rivolgo al quotidiano L'Ora, che accetta di darmi lo spazio che mi spetta.

TRASCRIZIONE DAI DUE GIORNALI visibili in calce

1979.06.05_PR Si  discute con passione del cognome di mammà

«La sede del partito radicale è al numero 17 di vicolo Castelnuovo, a pochi metri da piazza Bologni addentrandosi per le stradine che portano a Ballarò- Si entra da una porticina stretta. Al piano terra una stanza non grande piena di materiale di propaganda: si sale da una scala di legno e in soffitta c’è il centro di raccolta dei dati elettorali da Palermo: sei persone». (…) «Sedute attorno al tavolino del telefono ci sono quattro ragazze che parlano d’altro. Una racconta che da tre anni studia ad un disegno di legge che vorrebbe dar la possibilità alle donne di essere chiamate col cognome della madre anziché con quello del padre. Lei, spiega, è separata dal marito ed ha due figlie che l’adorano mentre non sono in buoni rapporti col padre eppure debbono chiamarsi col cognome». (…) «…e le altre quattro ragazze continuano a discutere della proposta di legge sulla trasmissione del cognome materno alle figlie».

1979.06.22_ Se donna e pure radicale è «infelice»

Pubblicare lettere di commenti o rettifiche a quanto hanno scritto altri quotidiani e a loro indirizzate non è nostro costume. Se lo facciamo è perché l’autrice della lettera ha chiesto a noi di riparare ad una «ingiustizia» subita. Quella di vedersi rifiutato il diritto alla parola.

RITENGO necessario, quale femminista radicale, precisare alcune cose intorno a un articolo apparso nell’edizione  di martedì 5, con il gustoso titolo «Si  discute con passione del cognome di mammà». E sono considerazioni, tutto sommato, abbastanza divertite per l’idea di base, da letteratura d’altri tempi, che mi è dato scorgere nelle parole del cronista di turno. È vero infatti che esiste un progetto in questo senso e che esso è il risultato di uno studio analitico condotto da una di noi sul tema «donna e struttura familiare». Ciò che invece è frutto delle proiezioni fantasmatiche dell’autore del «pezzo» è l’aureola di infelicità familiare della quale ha ritenuto necessario rivestire la ragazza in questione, la quale peraltro non   aveva minimamente fatto dichiarazioni in tal senso, né nutriva alcuna intenzione di farne, sia pure per la felicità di qualche cronista dalla fantasia facilmente sollecitabile.

Ma tant’è, il problema di fondo è sempre lo stesso. C’è una donna che vuol fare qualcosa di specificamente politico e che vuole affrontare seriamente un progetto di riforma sociale? Eh, ma è una donna! E quindi, se lo fa lo farà sempre per qualcun altro, mai per se stessa; in questo caso lo farà per i figli, anzi per le figlie, dato che si è riusciti a sapere che ne ha due e di sesso femminile. E ovviamente queste figlie dovranno essere molto, molto infelici (guai se non lo fossero, andremmo decisamente fuori tema, quasi fuori dell’ordinario) affinché la donna-madre sia una «madre» così come il maschilismo ha da sempre voluto pensarla e non, semplicemente, una donna che si occupa, sia pure con passione, del «problema donna». 
Jole Natoli del Partito Radicale

Quotidiano Il Giornale di Sicilia – Edizione straordinaria – 5.06.1979

REPLICA allo scritto riprodotto sopra – Quotidiano L’Ora – 22.06.1979

NOTE: 
1 - il mio nome è sempre stato Iole e non Jole (dall’Università di Palermo fui “richiamata” perché a quell’epoca usavo firmarmi con la “J” e non con la “I” come da certificato di nascita e da allora non ho più commesso questo peccato anagrafico), ma non tutti i giornalisti o caporedattori lo sanno…

2 – il mio progetto sul doppio cognome è il primo nell’Italia repubblicana non in quella monarchica, anche se del progetto del deputato Salvatore Morelli abbiamo solo il titolo. Non esiste infatti presso l’archivio del Senato una qualsiasi traccia che indichi se il deputato pugliese avesse previsto o meno un sistema con regole di attribuzione dei cognomi, per evitarne la moltiplicazione o per determinare l’ordine di essi.